Autore: Mélissa Da Costa. Editore: Rizzoli. Anno: 2022. Pagine: 650. Genere: Narrativa, Romanzi, Viaggi
“Le partenze più tragiche sono quelle che non hanno mai luogo”.
UN BEL ROMANZO, FORSE UN PO’ LUNGO…
Mi piace alternare autori esordienti a autori affermati, e per la seconda categoria la mia scelta è finita su questa scrittrice francese, di cui solo in un secondo momento ho notato la produzione di diversi libri di narrativa, tutti con un buon seguito e, non guasta, una certa originalità nei temi trattati.
In particolare, ho scelto questo testo perché parlava di un viaggio, anzi di un doppio viaggio come cercherò di farvi capire senza spoilerare troppo. Da Costa scrive bene, scrive facile, non si perde in troppi ragionamenti lasciando che a parlare siano i silenzi e le azioni dei protagonisti che si alternano sul palcoscenico del romanzo. Ove questo potesse non bastare, le numerose citazioni (alla fine risulteranno forse fin troppe) stimolano il lettore alla riflessione, alla immedesimazione.
Prima di apprendere della sua malattia Émile è un uomo che, come tanti, vive una routine forse triste: il lavoro non gli piace, con la fidanzata Laura è una storia senza un vero sguardo sul futuro, si sente costantemente fermo mentre tutti intorno a lui evolvono. La sua tragedia è che si sente figo così com’è perché è simpatico e da sempre ha facilità nei rapporti interpersonali, quindi non ammette con sé stesso di avere problemi, e tanto meno con gli amici che lo notano, che diventano il bersaglio di una rabbia repressa.
Nella malattia Émile trova il coraggio di mettere in pratica un suo sogno, da sempre rimandato: senza dire nulla a nessuno, nemmeno agli affetti più cari, molla tutto e parte in camper. Da solo? No, lo fa con una perfetta sconosciuta, Joanne, una ragazza taciturna e schiva, che rivelerà una forza d’animo incredibile.
I silenzi di Joanne sono esattamente ciò di cui ha bisogno per iniziare a guardarsi dentro e per crescere. Grazie a lei, Émile inizia ad ascoltarsi, ad affrontare quelle problematiche personali che si era sempre rifiutato di riconoscersi.
Quello che ho amato di questo libro è stato, alla fin fine, il viaggio in sé, il coraggio del protagonista iniziale nell’affrontarlo, di mettersi in gioco, per arrivare finalmente a conoscersi e riconoscersi per quel che è, e a fare pace con sé stesso, per diventare – prima di morire – un uomo migliore.
Veramente belle le pagine dei luoghi, gli spazi immensi in cui i due si immergono, la maniera in cui lui inizia a vivere con maggiore consapevolezza. A fianco della sua evoluzione, anche Joanne prende inaspettatamente e gioiosamente vita.
Nonostante sia un libro molto doloroso, una storia profonda e intima, le pagine sono leggere, godibili, ogni frase è semplice, lineare: non una parola di più, non una di meno di quel che serve.
In questo contesto, ho trovato un po’ fastidioso che, nella seconda parete del libro, l’autrice abbia voluto raccontare a mo’ di diario tutto il retroterra (culturale e sentimentale, il vissuto insomma) di Joanne: forse sbaglio, ma secondo me ciò ha appesantito un romanzo già lungo da leggere, ha caricato di ulteriore emotività pagine già molto intense e lo stesso il finale, che sarebbe in ogni caso stato pieno di commozione…
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