Viaggiare…

Viaggio in Cappadocia… dove le pietre parlano.

Le ampie distese di frumento interrotte da frutteti dell’Anatolia, regione al centro della Turchia, non preparano all’improvviso apparire dei fiabeschi profili della Cappadocia, preannunciati dal cono vulcanico del Monte Argeo, artefice insieme al Monte Hasan di una realtà che supererà ben presto ogni più rosea aspettativa. Difficile descrivere e fare comprendere le caratteristiche e le bellezze di questa regione a chi non ha avuto l’opportunità di vederla coi propri occhi.

La Cappadocia, un altopiano lungo 300 chilometri a oltre 1000 metri d’altitudine, è il risultato della paziente opera di Madre Natura. Violente eruzioni avvenute tre milioni di anni fa hanno ricoperto la regione ai piedi dei vulcani Argeo e Hasan con uno strato non uniforme di lava, cenere e fango. Vento, acqua, caldo e freddo hanno eroso il tufo ove era più friabile e tenero fino a creare paesaggi surreali dai toni che variano dal rosso all’oro e dal verde al bianco.

Ma se la natura appare ancora oggi l’elemento dominante nella terra che prende il nome del re assiro Cappadoce lo si deve anche all’uomo.

Nel corso dei secoli, ricercando protezione e rifugio, mimetizzandosi nelle rocce e nell’ambiente, l’uomo non ne ha mai modificato il paesaggio.

Quasi precorrendo l’attuale necessità di eco-sostenibilità, le opere umane contribuiscono anzi a rendere la Cappadocia ancora più affascinante per chi la visita.

Ovunque in Cappadocia si sente che l’uomo è un ospite e non un dominatore.

Ovunque in Cappadocia si vede che l’uomo ha un legame quasi intimo con le linee e con la materia.

Goreme, l’antica Korama, è situata in un grande anfiteatro naturale alle cui spalle si apre una vallata molto verde. Il paese moderno è intrigante, spettacolare coi Camini delle Fate, Peri Bacalari, in pieno centro, ma è appena fuori città che si entra in una delle valli più belle della zona. Vi troverete in un mondo che sembra partorito dalla fantasia oltre che in uno dei più importanti insediamenti monastici dei primi secoli cristiani.

Nel Museo all’aria aperta di Goreme si possono avere i primi incontri ravvicinati con l’incredibile sapienza e pazienza con cui l’uomo ha saputo fondersi con questa terra. Furono dapprima gli anacoreti e poi cristiani in fuga dall’incalzare della minaccia araba a creare tutto questo dalla seconda metà del VII secolo, quando Costantino, imperatore di Costantinopoli, liberalizzò il culto cristiano. Trovato in Cappadocia un sicuro rifugio, i seguaci di Gesù si riunirono in comunità monastiche e iniziarono a scavare nella tenera pietra abitazioni, stalle e chiese.

Un silenzio profondo, quasi palpabile, spinge ogni visitatore a muoversi in punta di piedi. In una tale atmosfera mistica, strapiombi verticali, creazioni rocciose, piramidi e pinnacoli vi sorprenderanno dietro ad ogni angolo. Le opere della natura sono così numerose e uguali, le loro linee sempre così perfettamente arrotondate, da fare dubitare della loro origine. Inconsapevolmente, si accelera per anticipare ogni scoperta prima di capire che non serve affrettarsi: ogni roccia, ogni aspetto di Goreme pronuncia parole che sanno massaggiare e rilassare i sensi.

Moltissime sono le chiese rupestri da visitare, tutte impreziosite da affreschi che raffigurano Cristo, Maria e scene bibliche, risalenti ai secoli a cavallo tra il primo e il secondo millennio. Si ritiene che le chiese più vecchie ospitassero opere ancora più antiche, ma ad ogni modo queste meraviglie non mancheranno di stupire anche il visitatore meno preparato: i colori sono ancora vividi, spesso esaltati sia dalla maniera con cui gli interni sono stati decorati, che dallo sfondo chiaro e luminoso del tufo.

Uçhisar è un immenso pezzo di montagna in cui l’uomo ha ricreato centinaia d’abitazioni, ma l’eccezionalità di questa roccia sta nell’essere la punta più elevata della zona, con vista a 360° sull’intera Cappadocia. Vale davvero la pena faticare su centinaia di gradini fino in cima per godersi il panorama in tutta la sua interezza: da una parte l’impressionante mole della roccaforte e delle decine di pinnacoli che la circondano; dall’altra, il maestoso panorama su canyon, guglie e paretai di un ocra pallido che la natura ha lavorato fino a farlo assomigliare ad una gigantesca meringa.

È il punto ideale in cui concedersi al tramonto. Secondo l’intensità e l’angolazione con cui il sole calante colpisce le rocce, esse assumono via via tonalità e sfumature sempre diverse del pastello, del rosso e del violetto. Difficile non rimanere affascinati. Probabilmente vorreste fermarvi per un giorno ancora, ma sappiate che la Cappadocia ha molto altro da offrire.

Dopo Cavusin, si prosegue in direzione di Zelve lungo la stessa Strade Reale costruita da Dario, il Re dei Re, che da Efeso, sulla costa ovest della Turchia, portava a Susa, nell’attuale Iran. Su questa via lunga 13500 stadi (2300 km) disseminata di luoghi di sosta, gli eserciti persiani potevano raggiungere velocemente ogni punto dell’impero. I selgiudichi l’avrebbero trasformata in via commerciale, i romani vi avrebbero preso spunto per realizzare tutte le vie su cui fondare il più esteso Impero della storia, ma voi vi accontenterete di ammirare la Valle dei Camini delle Fate che si apre proprio sul fianco di questa strada. Entrerete nel luogo più incredibile e originale di tutta la Cappadocia. Di ogni misura, splendidamente isolati, in coppia o in gruppi, tutti i Camini delle Fate hanno la cima ricoperta un cappello di dura e nera lava che ha protetto il più friabile tufo sottostante dall’azione di vento e pioggia.

Girovagare tra queste sculture alte decine e decine di metri vi riporterà ai tempi della vostra infanzia, quando leggevate le avventure di Gulliver nel paese dei Lillipuziani. Ci si sente davvero piccoli davanti a tanta perfetta maestosità, specialmente nella suggestione del tramonto, quando le piramidi di terra su cui gli anacoreti cercavano l’isolamento assoluto salendo sempre più in alto nelle montagne fino a creare veri nidi d’aquila scavati nel tufo, spesso raggiungibili solo con scale di corda, sembrano trasformarsi in colossali e loschi personaggi in fuga avvolti in mantelli e copricapo.

Zelve, è una città fantasma abbandonata nel 1950 per farne un museo. Il paese si estende sui fianchi di tre valli adiacenti, tutti traforati dalle abitazioni ricavate nella roccia, e merita di essere visitato per vedere coi propri occhi come vi si viveva. Vi aggirerete tra le case-grotta e chiese aspettandovi in continuazione di vedere spuntare gli antichi abitanti, come se si fossero temporaneamente assentati.

Per visitare Zelve è consigliabile vestirsi adeguatamente perché alcuni punti si raggiungono con difficoltà, avanzando sulle ginocchia o sul… sedere.  

Base ideale per tutte le escursioni in Cappadocia, Urgup consente di vivere la Turchia più attuale. Può essere piacevole frequentare l’hammam, il bagno turco, e dopo essersi fatti strigliare, scrocchiare, lavare e lisciare per bene, concedersi una passeggiata. Non stupitevi nel vedere giovani uomini camminare tenendosi per mano, come una coppia di innamorati: in Turchia è un segno di grande amicizia e rispetto.

Se siete amanti del vino, non perdete l’occasione per assaggiare l’ottimo prodotto locale, primo attore ad ogni ottobre del rinomato Festival Internazionale del Vino di Urgup. Poi tappeti, tappeti e ancora tappeti: i kilim sono i veri protagonisti della quotidianità. Impossibile evitare di comprarne uno: sono bellissimi e, soprattutto, convenienti. Impossibile anche sottrarsi alla contrattazione col commerciante, spesso dal carattere vivace come i tappeti che vende, scandita da uno o più tè bollenti all’aroma di mela serviti in piccoli bicchieri senza manico, più stretti al centro.

Gli incantevoli comignoli fatati negli occhi, il tramonto di Uchisar nel cuore, l’ovattato silenzio di Goreme nelle orecchie e i mille odori di Urgup ancora nel naso vi starete chiedendo se e in cosa la Cappadocia riuscirà di nuovo a stupirvi quando, ancora una volta, rimarrete senza parole. Se i paesaggi e la storia vi hanno sorpreso, è nel sottosuolo che si ha il vero impatto con la cultura del luogo.

Il suolo della Cappadocia cela da oltre 2000 anni circa 40 vere e proprie città, in cui gli abitanti trovavano rifugio in caso di pericolo. Le più grandi e famose sono Kaymakli e Derinkuyu: otto piani sotto terra, capaci di ospitare e sostenere migliaia di persone per tempi molto lunghi in caso di attacchi. Si accede alla prima attraverso una grotta anonima, una volta celata da un’immensa porta mobile di pietra.

I tunnel salgono o scendono, a volte in maniera molto nervosa, collegando livelli disposti con ricercata funzionalità. La facilità con cui la guida vi precede non tragga in inganno: è facilissimo smarrirsi. Nel livello più basso, le stalle e fuochi di legna producevano il calore che si irradiava ai livelli superiori attraverso cunicoli. Lo stesso movimento assicurava l’indispensabile ricambio dell’aria. L’acqua era distribuita in caduta naturale verso il basso, fino a confluire in un fiume sotterraneo che portava via tutte le scorie prodotte dalla città. Ai livelli più alti si trovavano gli ambienti più arieggiati e naturali, i magazzini dove si conservavano i cibi, e piccoli appezzamenti coltivabili. Tutte le attività produttive si svolgevano in una posizione intermedia.

Rifugiandosi sottoterra, i Trogloditi – così li aveva definiti nel IV aC. lo storico greco Senofonte, volendo indicare con rispetto “coloro che vivono nelle caverne”, un significato ben diverso di quel che gli attribuiamo oggi – prima e i Medi poi avevano conservato l’indipendenza da Hatti, Ittiti e Persiani. Nemmeno il Grande Alessandro riuscì a sottometterli. E dove il genio, la tecnologia e la natura non bastavano, essi sapevano abilmente come fare – dove le voci potevano venire riflesse amplificate, o i mille nascondigli o pertugi dai quali uscire per una rapida sortita – per far circolare tra i nemici storie malefiche di poteri sovrannaturali che l’aspetto davvero singolare della regione non faceva che avvallare, amplificare e diffondere velocemente.

Ancora una volta la terra di Cappadocia, anzi il suo sottosuolo, è riuscito a sorprendervi. Lascerete questa terra felici di aver visitato un luogo molto speciale in cui il tempo sembra essersi fermato, ma col malincuore dettato dalla consapevolezza che nei secoli questo straordinario paesaggio sparirà esattamente nella stessa maniera in cui è stato creato. (foto di Mauro Morelli maumorelli@virgilio.it)

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