Viaggio in Egitto: navigando nella Storia

Viaggio in Egitto: navigando nella Storia

Viaggio in Egitto. “Raggiungo la feluca con gli occhi ancora pieni di meraviglia, e ancora un po’ assonnati. Si deve partire alle tre di notte per raggiungere Abu Simbel, la più grande opera di Ramses II, a pochi chilometri dal confine con il Sudan…

Il mio vero viaggio comincia da Aswan, 900 chilometri a sud del Cairo, che raggiungo col treno notturno. Si tratta di un servizio turistico, a 60 US$ per la cuccetta in condivisione, pasti “tipo aereo” compresi. Una scelta altrettanto buona è viaggiare in prima classe. Vi sono diversi treni che partono dalle Stazioni di Giza o Ramses. Le poltrone, reclinabili, sono confortevoli, il costo è notevolmente inferiore (circa 15 euro, ma senza pasti), ma il tempo di percorrenza è più lungo…

Aswan è una località amena: molto moderna nella Corniche, il lungofiume; arabescante ed esotica nel souq, il più ampio d’Egitto; orientaleggiante per la presenza di vegetazione – lungo il fiume – curatissima, punteggiata di ibis bianchi e variopinti uccelli; molto, ma molto africana grazie ai nubiani scuri di pelle che la popolano e agli accesi contrasti di colore tra le scure rocce basaltiche e le finissime sabbie color ocra che dominano quasi ogni inquadratura; affascinante per la continua presenza di feluche che compiono il tour (turistico, ma da non perdere!) attorno alle isole.

Aswan è inoltre baciata da un clima mite da ottobre a marzo, fatto che la rende una meta per “svernare”. E vale la pena perché è una bella città, oltretutto calma anche se ad un primo impatto appare frenetica. Basterà arrivare poi a Luxor o, peggio ancora, al Cairo, per rendersene conto. Non si va di fretta ad Aswan…

Davvero affascinante, ipnotico direi, il contrasto del deserto che domina a Occidente, su cui risaltano i profili delle Tombe dei Nobili e del Mausoleo dell’Aga Khan, dove egli stesso volle essere sepolto, alle cui spalle si trova il Monastero di San Simeone, uno degli edifici cristiani meglio conservati d’Egitto (anche se dà più l’idea di una fortezza che di un santuario religioso) col Nilo che qui ha un aspetto cristallino e cambia colore a seconda del momento della giornata.

Sono innumerevoli gli angoli di quiete di Aswan. Anzitutto sull’Isola di Elefantina, dove ancora sopravvivono due villaggi nubiani e la deliziosa Nubia House, con edifici dai muri tirati a calce impreziositi da infissi e decorazioni colorate all’esterno, e da pavimenti interamente coperti di tappeti e pareti che paiono esposizioni museali all’interno. I giganteschi macigni di granito grigio che frangono il Nilo a sud sembrano effettivamente tanti elefanti al bagno, da cui il nome di Elefantina. Raggiungere l’isola costa solo 1 Lira Egiziana (LE) coi traghetti pubblici.

Poi c’è l’isola Kitchner, che ospita uno stupendo giardino botanico con piante e fiori da tutto il mondo, dove – pagando – si può passeggiare ammirando alberi esotici e vegetazione lussureggiante.

La stessa scenografia verde di palme e oleandri la si può assaporare, con qualche emozione in più, nell’ampio e relativamente nuovo Tempio di Iside, a sud della città, accanto alla vecchia diga. Originariamente il tempio si trovava sull’isola di Phile, oggi completamente sommersa. La vecchia diga si trova esattamente sopra la prima delle sei antiche cataratte, famosissime nell’Antico Egitto poiché complicavano la vita a chi risaliva o discendeva il fiume. Si doveva cambiare imbarcazione o la si doveva trasportare a forza via terra…

Raggiungo la feluca con gli occhi ancora pieni di meraviglia, e ancora un po’ assonnati. Non sono l’unico. Molti dei miei nuovi compagni di viaggio avevano già visitato il sito archeologico più affascinante dell’Egitto, per collocazione, per impatto visivo e per lo spessore storico del personaggio che l’ha creato. Si deve partire alle tre di notte per raggiungere, rigorosamente in convogli veicolati dalla polizia, la più grande opera di Ramses II, in un luogo allora lontanissimo dalla capitale Tebe (oggi Luxor), 280 km e tre ore attraverso il deserto dopo, a pochi chilometri dal confine con il Sudan. Torno lì col pensiero…

Sono rimasto senza parole mentre, circondata dal nulla, vedo per la prima volta Abu Simbel, affacciata come un gioiello rosso sul lago Nasser, creato dalla nuova diga di Aswan. E con estrema soggezione passo in mezzo alle quattro statue alte 20 metri del faraone Ramses II… In ammirato silenzio misuro coi passi l’immenso tempio interamente scolpito nella roccia rossa: statue, colonne, camere e ricettacoli compresi sono stati strappati a mano, scalpellata dopo scalpellata, fino a creare qualcosa di perfetto, e ancora intatto dopo migliaia d’anni. Incredibile! Inoltre, facendo mente locale che tutto è stato costruito 3200 anni fa, a 600 chilometri di deserto e diverse (tre?) cateratte nilotiche dall’allora capitale Tebe, perde quasi totalmente fascino il recente spostamento del tempio, trasformato (grazie a moderni macchinari e tecnologie) in un gigantesco Lego di oltre mille pezzi da 30 tonnellate ciascuno, e spostato a 210 metri di distanza e 65 metri più in alto dal corso del Nilo per sottrarlo dalle acque del più grande lago artificiale del mondo, che l’avrebbero altrimenti sommerso.

Giungendo al sacrario più interno, guardando il sole già sorto da un paio d’ore, ma quasi perfettamente allineato al lungo corridoio che costituisce l’asse principale della costruzione, e la sua luce illuminare a giorno il recesso più segreto di Abu-Simbel, mi rendo conto di essere in anticipo di 22 ore appena sul momento in cui, ogni 22 ottobre (come ogni 22 febbraio) i raggi illumineranno centimetro dopo centimetro, e statua dopo statua, tutto il corridoio fino a posarsi sulla statua di Amon-Ra nella cappella più interna e sacra del tempio.

L’effetto scenografico deve essere stupefacente… e mi torna automaticamente negli occhi.

Mi scuoto perché il viaggio continua e mi aspetta una nuova avventura. La temperatura, sul Nilo sensibilmente più fresca che in città, è un toccasana e rende piacevole l’attesa della partenza, mentre gli ultimi passeggeri arrivano alla spicciolata. La feluca, il Nile Paradise, lunga circa 14 metri, è una tipica imbarcazione nilotica, identica a centinaia d’altre che danzano in continuazione attorno all’isola di Elefantina, e per tante cose ancora uguale a quelle che per millenni hanno sostenuto l’economia del Paese. Poche – osservo – sono le aggiunte di ferro, e spesso introdotte esclusivamente per la comodità di chi è ospite – pagante –  a bordo. La vela, triangolare, è rappezzata in un variopinto collage di tessuti. Diversi teli colorati rivestono un grande materassino di gommapiuma che a sua volta ricopre la grande coperta sotto cui va stivato il grosso dei bagagli. Lo spazio in cui mangeremo e dormiremo è grande e confortevole, finché non si è più di otto passeggeri…  

Finite fuori logica una volta che dei trasporti han cominciato ad occuparsene i camion o i treni, le feluche han ripreso a vivere grazie al turismo solo per cadere di nuovo nel dimenticatoio col boom delle navi da crociera, costruite appositamente col fondo piatto e il pescaggio ridottissimo per navigare nei periodi di maggiore secca del Nilo, ormai impoverito d’acqua dalla Grande Diga di Aswan. Grazie ai prezzi molto competitivi, alla originalità, ma soprattutto al suo navigare a vela, l’esistenza delle feluche è oggi solo compressa, ma non minacciata, dalle centinaia di grandi motonavi da crociera che sono ormeggiate fino in quarta fila sotto la Corniche di Aswan.

Però un impatto c’è stato: se una volta era possibile navigare in feluca fino a Luxor (e anche oltre), oggi il loro itinerario non supera mai Kom-Ombo (per due notti complessive a bordo), mentre il tour standard prevede una sola notte a bordo, con sbarco a Daraw. Dove si attracca, pulmini già pagati portano, fino ai templi di Kom-Ombo e Edfu e poi fino a Luxor, per lasciarti davanti all’Hotel desiderato/prenotato. L’unica maniera di aggirare questo limite, che può essere davvero antipatico, e giungere almeno fino a Edfu, è prendere una feluca tutta per sé… In quattro la spesa rimane molto bassa (in 5 giorni si spendono circa 100 euro a testa, tutto compreso).

Non posso fare paragoni, ma non credo che la crociera in motonave, oltretutto rumorosa e inquinante, permetta di vivere il Nilo nella sua interezza, di trascorrere tutto il tempo immersi in un ecosistema del tutto paragonabile ad un’immensa oasi faunistica, dai grandiosi panorami e spazi naturali, di vivere momenti che vanno centellinati e goduti in assoluto silenzio, in una contemplazione senza distrazioni dall’alba al tramonto e dal tramonto all’alba.

Finalmente, sebbene un po’ in ritardo, si salpa. Alla guida, tre giovani nubiani, all’inizio in galabiya, lunga tunica tradizionale egiziana, poi in comodi abiti leggeri per navigare, sorridono spesso allegri. Cantano, si chiamano con tutti  gli altri equipaggi delle feluche, o con le persone che lavorano sulla riva, per noi poco più che puntini, per loro affetti ben riconoscibili essendo del loro paesino natale o del paese immediatamente vicino…

Non mancheranno mai di cantare, sorridere, richiamare a gran voce mentre regolano vela o timone, accontentano le nostre (poche) richieste, fanno le necessarie pulizie a bordo, preparano pasti o raccontano storie piene di feluche e di Nilo, ma anche di amare realtà.

Il nostro capitano (in realtà il secondo in gerarchia) sembra effettivamente troppo giovane, ma scoprirò che ha 24 anni. Dubbi (sulle sue capacità) mi assalgono quando, passati nel relax e nel godimento più totale le prime due ore di bordi (di bolina) grazie al vento che soffia costantemente da nord (verso sud), col favore della corrente, verso sera il vento aumenta notevolmente. Creerà qualche difficoltà di troppo al giovane capitano, e a noi qualche timore, per passare sotto il ponte che attraversa il Nilo circa 8 km a nord di Aswan perché si deve per forza abbassare il pennone diagonale che sostiene la vela latina, e quindi ridurre notevolmente il piano velico e la spinta, per potere passare al di sotto e al di là. La spinta del vento, a raffiche, a volte violente, costringe più volte a tornare indietro e riprovare. Il passaggio pare impossibile, ma si persevera e alla fine si passa, con un sospirone di tutti.

Si prosegue coi bordi ben oltre il tramonto, e infine nel buio più completo. Ha un che di arcano questa parte di navigazione, e rimango – come tutti – nel silenzio interrotto di tanto in tanto dalle strida di stormi di uccelli, oppure da chiassose motonavi, che spesso viaggiano in convogli di quattro o più… Ma l’approdo notturno è carico di magia. Altre feluche son già arrivate, e i relativi occupanti cenano avvolti nelle luci affascinanti e senza tempo delle candele, spuntate numerose sulle varie “tavole”.

È anche tempo di cercare un “bagno” lungo la riva, nei pressi di Daraw (che è il più grande mercato di cammelli dell’intero Egitto) mentre i tre capitani preparano da mangiare, e poi di chiacchierare un po’ sopra l’argine sabbioso. Non siamo fuori dal mondo perché alle nostre spalle, a ovest, si intravvedono le luci di un piccolo villaggio. A est la strada corre proprio accanto al fiume e così la ferrovia… i rumori persistono a lungo, ma fortuna il passaggio è molto scarso. Ancora un po’ e ceniamo anche noi al lume di candela. Son del gruppo tre ragazze canadesi, una coppia canadese (ma di origine giapponese), un neozelandese e due ragazzi, Manuel simpaticissimo, di Buenos Aires. Nel menù son comprese le solite “mezze” di verdure fresche tagliate a dadini, formaggini e kofta (piccole polpette di fave tritate con un po’ di carne di manzo, molto speziate e buone), zuppe di cereali e riso scondito. Un po’ di pollo è il piatto centrale. Pane arabo a volontà…

Dopo cena, proprio mentre ci si sta assopendo sempre di più, per incanto spunta un falò di legna sulla riva e cominciano le prime percussioni di musica nubiana. Questione di minuti e la festa, assolutamente spontanea (non mi capiterà infatti più nelle successive tre notti che passerò a bordo), è in pieno svolgimento. Ci stava qualcosa di esclusivo e carino per chiudere la giornata, ma la strapazzata di Abu Simbel del giorno precedente ci richiama via via alla branda… Si dorme uno accanto all’altro, ma per quel che mi riguarda è come dormire per conto mio… E l’alba arriva presto, molto prima di quel che penso.

E un po’ sorpreso, in quel limbo a metà tra il sonno e la veglia, con le palpebre ancora incollate assorbo lentamente la meraviglia del mondo che si risveglia insieme a me: ci sono tantissimi uccelli, per lo più palustri… un cavallo scende ad abbeverarsi… Più oltre nella giornata vedrò buoi e capre… Di cammelli nessuno, puntualizzo tanto per sfatare un luogo comune.

E man mano che i compagni di viaggio si svegliano, l’effetto domino raggiunge i tre capitani. Si disormeggia per cavalcare la corrente del Nilo fin sulla sponda est, dove in diversi sbarcheranno dopo una leggera colazione…

E noi si riprende “il dolce far niente” del giorno prima… Si osservano scene rurali di contadini al lavoro nei campi in – apparentemente – immacolate galabiya; pescatori all’opera (alcuni lavorano per una settimana di fila, dall’alba al tramonto, lasciando il pesce vivo in acqua, e dormendo rannicchiati stretti nelle loro barchette di notte); il solito traffico fluviale di innumerevoli altre feluche. Oltre a ciò, è un po’ come fare vita di mare: un po’ di sole, un po’ di letture, un po’ di chiacchiere, un tè, e due passi, ora in un palmeto, ora nelle sabbie del deserto… Si osserva, ci si rilassa e ci si abbronza… Ogni tanto il vento cambia direzione e ci porta folate roventi che odorano di deserto, un misto di sabbia e polvere. In mezzo ai colori brillanti della vegetazione e delle fioriture, sotto nuvole che a volte sembrano fare a gara nello specchiarsi nel blu intenso del fiume vicino a riva, dove è sempre placido, ci si dimentica che appena al di là ci sono solo dune e rocce aride per migliaia e migliaia di chilometri…

Verso sera il Nilo raggiunge una bellezza che è difficile raccontare. Accanto al risveglio della natura, una vera esplosione di vita di gabbiani che giocano a pelo d’acqua, qualche bufalo che si abbevera e bagna beato, falchi che volteggiano alti e martin pescatori che si tuffano per pescare, il sole scende e infiamma le palme, disegna magistralmente i profili del Deserto Occidentale e mille sfumature insanguinate nel cielo. Un vero sogno ad occhi aperti che però – peccato – non sarà mai il preludio a stellate da paura, tanta è la luce diffusa dalla vicina strada e città. Ci sono, e non per nulla le stelle son dettagliatamente riportate nei soffitti di numerosi templi, ma ora non si vedono più. Peccato…

Senza feste, la seconda notte è sicuramente meno affascinante della precedente, poi al mattino sbarcano tutti tranne me. Si torna verso Aswan, col vento in poppa ma contro la corrente del Nilo, e l’andatura è pigra. Il programma è libero, per cui lascio fare ai capitani. Ci si ferma quindi a riparare un danno nella vela e un altro alla scotta. Dopo la terza notte a bordo, arrivo di nuovo Aswan dove carichiamo nuovi passeggeri. Stavolta siamo ben in 11! Ancora Due canadesi, una ragazza giovanissima di Melbourne, una coppia tedesca, un “triangolo” colombiano-giapponese-tedesco, un ragazzo inglese, una coppia statunitense, una coppia di Barcellona che incontrerò ancora durante il viaggio. Il primo capitano, Sayed, è un po’ logorroico per i miei gusti, ma ormai so come prenderlo e lui ha imparato a rispettare i miei spazi.

Ripetiamo a grandi linee il tragitto della risalita precedente e il tempo letteralmente vola. Si replica tutto quanto ho già visto e osservato nei giorni precedenti, ma nessun momento è davvero uguale a quelli già vissuti e assaporati. Comincio a riconoscere le varie feluche, e qualcuno dei capitani, prima ancora che ingrandiscano; vedo le acacie alternarsi a piccoli insediamenti di case d’argilla cotta al sole con tetti di canne e foglie di palma intrecciate; vedo e distinguo i campi di trifoglio, le piantagioni di canna da zucchero e quelle di pregiato cotone egiziano, il prodotto agricolo più esportato, e non solo i palmeti, che sono ovunque.

All’ultimo giorno di navigazione sono dispiaciuto perché la Valle del Nilo a nord di Aswan è di fatto uno dei più bei paesaggi di tutto l’Egitto, e l’andare a vela e in feluca mi piace moltissimo, ma la parentesi è durata abbastanza ed è ora di riprendere a viaggiare. Dopo quattro notti in feluca, sbarco anch’io. Dopo tanto fluido, la mia camminata è un po’ ondeggiante e insicura, ma è piacevole tornare sulla terra ferma, e poi riprendere a guardare il paesaggio scorrere veloce fuori del pulmino (strapieno). A Kom-Ombo è solo fuggevole l’occhiata all’attracco dove ho passato la notte due giorni prima, ma il rimpianto di avere abbandonato l’oasi della feluca ingigantisce mentre la regola del “muoversi in convoglio” ci costringe a stare dentro al pulmino – fermo sotto il sole implacabile – per oltre un’ora.

La tappa di Edfu va meglio e il tempio di Horus, il dio falco, è proprio bello anche se è per ampie parti solo una copia “recente” di quelli di Luxor e Karnak, che vedrò nei giorni successivi. Splendidi i bassorilievi che decorano ogni centimetro delle gigantesche mura e piloni. Il tempio di Karnak, in particolare, visitato di notte – seppure parzialmente – durante lo spettacolo “Suoni e Luci” sarà per me particolarmente suggestivo. Del West Bank di Luxor mi rimarrà per sempre impressa la camminata (non consigliabile a tutti, ma davvero affascinante) dal tempio di Hatshepsut alla Valle dei Re e ritorno. E nell’impossibilità di visitare la tomba di Nefertari, regina scomparsa giovane e amatissima da Ramses II, nella Valle delle Regine, i cui dipinti murali – dicono – penetrano l’anima, spesso chiusa (ma comunque gli accessi sono limitati a soli cento al giorno), non so fino a che punto vale la pena di sfinirsi per vedere tutti i sepolcri reali. Un paio possono essere più che sufficienti. E quello di Tut (Tutankamon), pur semplice, è carico di suggestioni storiche ed è l’unico che mostra la mummia reale in situ.

In ogni caso, già dopo due soli giorni non vedo l’ora di “scappare” via da Luxor: troppo caos, troppe macchine, troppa gente… Mi aspetta il Deserto Occidentale!

1 commento su “Viaggio in Egitto: navigando nella Storia”

  1. Pingback: Tutto il blu del Mar Rosso - #LeggereViaggiareScrivere #claudiomontalti

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Torna in alto