Viaggiare…

Il Grande Mare di Sabbia: Dakla e Siwa (seconda parte)

A Dakhla non ho vissuto il deserto presente nell’immaginario di tutti, ma i ragazzi del Farfan Hote, Mahid soprattutto, sono stati simpatici e informati ciceroni per due giorni. Mi hanno introdotto e poi aiutato a capire quelle realtà di quando ancora non c’erano macchine e case in mattoni, ad amare ciò che loro amavano. La bellissima cittadina medievale di Al-Qasr, in piena restaurazione, e il villaggio mamelucco di Al-Gedida sono testimonianze di due differenti dominatori.

Dakhla è una ottima base per organizzare l’itinerario fino allo splendido White Desert, per me il Top Spot di quel che ho visto nel deserto egiziano, un luogo magico in cui vale la pena spendere ben più tempo che quello dal tramonto all’alba come io ho fatto. Nulla, in Egitto, ha eguagliato un tale spettacolo, nemmeno le immortali testimonianze faraoniche, o lo stesso Nilo. Vale la pena organizzarsi da Dakhla (o da Siwa se si prende il Deserto Occidentale da nord verso sud).

Il White Desert è un’area relativamente piccola (3000 Kmq) in cui la natura si è divertita a creare decine di migliaia di “statue” di un bianco che più bianco non si può, dette chalk, costituite dai resti stratificati di microscopici animali marini depositatisi oltre 80 milioni di anni fa e poi erosi da sabbia e vento. Si ergono dalla sabbia di pastello rossiccio ognuna con la sua identità unica e fantasiosa.

Con lo sfondo del cielo che va scurendosi o schiarendosi, cambiano di colore e poi di forma, si torna bambini ed è divertente cercare di indovinare a cosa assomiglia questa o quella formazione surreale.

Faraglioni rosati, grotte, acacie millenarie, fonti circondate da palmeti e, ovviamente, una stellata da paura, completano l’offerta di questo Parco Nazionale. In siffatta magia, posso permettermi di consigliare un tour a piedi (dovrebbero essere 3 giorno e 2 notti) con guida e cammello a trasportare le cose?

Ne ho visto uno, e ho subito pensato che deve essere una esperienza meravigliosa…

Infine Siwa, raggiunta con un lungo giro in autobus pur di non dare soddisfazione a pirati di Bahariyya, questa cittadina assolutamente da evitare per mille validi motivi! Siwa, magica Siwa, l’oasi più bella con palmeti che paiono giardini, grandi laghetti, e abitanti che ti mettono a tuo agio, dove prima ti offrono un beduin tea e poi si parla di quel che cerchi/vuoi, in definitiva un luogo di vacanza e relax oltre che punto di accesso al Grande Mare di Sabbia. E questa è tutta un’altra storia…

Punto centrale di Siwa è la cittadella (ex) fortificata di Shali. Di origini medievali, si era mantenuta inviolata fino a inizio 1900, quando dovette affrontare un nemico sconosciuto, contro cui le mura costruite di un particolare impasto di sale argilla e pietra, indurito da milioni di soli implacabili, nulla poterono. Tre giorni di pioggia battente riuscirono laddove nessun invasore era riuscito mai, e disciolsero la fortezza come fosse stata un castello di sabbia.

Attorno a Shali, sapientemente illuminata e di notte visibile a decine di km di distanza, si è sviluppato un centro “in stile”, con tanto di artigiani (tessuti, gioielli in argento e manufatti di palma soprattutto) e ristorantini, una vera Cortina d’Ampezzo (ma in senso molto, molto più povero, ovvio) del deserto. Appena fuori Shali c’è quel che rimane dell’antico tempio ove operava l’oracolo di Amon, il secondo più importante dell’antichità dopo quello greco di Delfi, cui lo stesso Alessandro Magno si recò per ricevere l’investitura ufficiale di Faraone… Il sito non è il massimo, ma le viste che si godono di lì sui palmeti e dintorni di Siwa sono superbe! Senza contare le passeggiate tra i palmeti, assaggiando qua e là datteri di ogni tipo (non fatevi vedere, però…).

Nei dintorni di Siwa c’è quel deserto immaginario quello fatto di  sabbia di un luminoso pastello chiaro, immacolato. Il tour nel deserto (MOLTO brava la guida, Ahmed, badwy_mouaref@yahoo.com cell (002) 012 4180292, che potete senz’altro contattare in inglese) è stato bello e rilassante, con molte tappe a camminare sulla sabbia, a respirare il deserto, a immergersi in un ambiente che è difficile percepire ostile con un 4×4 accanto, ma che indubbiamente lo è.

E basta scalare una duna, anche piccola, per rendersene conto, oppure provare a orientarsi per sbagliare tre volte su quattro… In alcuni punti la sabbia pastello chiaro ha la stessa grana dello zucchero di canna, in altri è quasi impalpabile.. Surreale fare un bagno nell’acqua sorgiva (l’acqua di Siwa viene imbottigliata e venduta…) di un bel laghetto ai piedi di una grande onda sabbiosa, poi lo svacco completo nella vicina sorgente calda, questa immersa in un piccolo palmeto ordinato, circondato dalle dune, col sole che tramonta negli occhi.

Ma c’è stato il tempo di vedere un tramonto ancora più meraviglioso guardando dall’alto decine di soffici dune che parevano disegnate da un estroso cultore delle curve e controcurve, che i cambi di luce e di colore hanno continuamente spostato nel tempo e nello spazio. Almeno un’ora di assoluto silenzio, tutti senza parole, con l’unica controindicazione che la sabbia, continuamente disegnata dal vento, si infilava in ogni dove, anche in orecchie, naso, capelli… ma che pace. Senza il sole, il freddo si è fatto subito implacabile, e il vento non avrebbe concesso tregua fino al mattino, ma che importava! Una mezza luna, sorta a illuminare quasi a giorno ogni cosa, ha trasformato l’angolo di deserto in cui ci siamo accampati in un gelido e affascinante paesaggio lunare. Questa è l’impressione che ho costantemente avuto dall’alto di una ripida duna, l’ultima scalata che mi han concesso le mie energie ormai esaurite.

Sentinella unica, senza fuochi né luci visibili se non la lontana (30 km) Siwa, ho riassaporato sensazioni che non rivivevo da un decennio, dalla ‘mia’ Australia di cui ho diffusamente parlato in Australiando. Emozioni solo mie visto che – fisicamente e finalmente solo – ho trovato un punto da cui escludere dalla vista qualsiasi umano, mezzo, fuoco… Mi è così parso di riuscire a respirare più profondamente del solito. Era l’aria del deserto, dolce e allo stesso tempo corroborante e frizzante, ma era anche, lo so per certo, quella sensazione di essere rimasto l’unico uomo sulla faccia della Terra.

Non sazio, la mattina ho ripreso l’osservazione/meditazione nello stesso identico punto, questa volta avvolto stretto stretto nella pesante coperta di lana che nulla poteva contro gli spifferi gelidi che s’insinuavano ovunque. E la luce che aumentava ha fatto lentamente riaffiorare il candore delle dune sull’oscurità in cui le vallate da esse create.

Qua e là un candore accecante, laddove distese di conchiglie marine, anzi dei loro ormai sbiancati fossili, rifulgevano nella luce. Lo sapevo che era così, eppure ho trovato lo stesso molto strano trovarmi a cercare una conchiglia, o anche due, da portare a casa, esattamente come nel Deserto Bianco avevo cercato e trovato decine di piccole pietruzze di diversi colori, grana, lucentezza. E contento ho completato il particolare ricordo che mi accompagna di ritorno da ogni viaggio, solo che stavolta non c’era nessun vero mare vicino, ma solo un Grande Mare di Sabbia

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