Viaggio Dahab: tutto il blu del Mar Rosso

Tutto il blu del Mar Rosso

L’altra faccia, quella ancora abbastanza genuina nonostante il turismo di massa del Mar Rosso degli ultimi anni: Dahab

Non è ancora l’alba quando “sbarco”, si fa per dire, sul Mar Rosso, in quel di Sharm. Ancora un’ora e sarò a Dahab, ma intanto quattro passi e lunghi respiri nell’aria fresca della brezza marina, assai mite in confronto a quella del bus, al solito in versione ghiacciaia a causa dell’aria condizionata sparata a manetta, stimolano una veloce riflessione sul lungo viaggio fatto per giungere sin lì.

A Bahria, una delle nuove “città” del Deserto Occidentale egiziano, dove tutti sembravano ossessionati dal “fare soldi”, avevo dovuto cambiare programma all’ultimo momento perché scandalizzato dalle richieste esorbitanti per raggiungere in fuoristrada la “vicina” Siwa, quasi al confine con la Libia. Senza nessuna voglia di aspettare in quella cittadina l’indomani, quando sarebbe stato forse disponibile un trasporto condiviso, assai più economico, avevo optato per un giorno intero di viaggio per concedermi giornate di totale relax sul Mar Rosso, sul lato opposto dell’Egitto.

In seguito avrei effettuato altrettante ore di viaggio per tornare indietro, e raggiungere Siwa con i mezzi pubblici: per nulla al mondo mi sarei perso un ultimo contatto col il Grande Mare di Sabbia del Deserto Occidentale, la più bella sorpresa del mio lungo viaggio fai-da-te in Egitto.

Al vantaggio del prezzo complessivo di questi due lunghi trasferimenti (in totale, circa 1/5 di quanto richiestomi dai procacciatori di Bahria) si sarebbe aggiunto quello di un viaggio nel viaggio di panorami e terre mai viste, di nuove esperienze e conoscenze. In particolare, questo trasferimento sarà anche foriero di una importante decisione personale.

Il tempo di arrivare, trovare la camera (bella!) ad un orario quasi antidiluviano e sono già in spiaggia. Dahab è l’opposto da quel che si sente dire del Mar Rosso, specificatamente di Sharm: è una realtà piuttosto caratteristica e marinara, composta di mini residence, piccoli alberghi e pensioni dalle linee in gran parte tradizionali, tutti imbiancati a calce, senza sfarzi, non visibili almeno. E bellissimo, nella sua semplicità, è il lungomare pedonale, una camminata sinuosa tra il blu davvero intenso del mare e il candore delle costruzioni dai volumi bassi, animata da minuscoli stabilimenti balneari (la spiaggia, di fatto, non esiste) che col passare delle ore diventano via via bistrò, ristorantini, punti di ritrovo per l’aperitivo serale e di nuovo ristorantini a lume di candela…

Del resto, avevo sempre sentito parlare – bene – di questo clima rilassato, friendly, da “no worry, be happy” di Dahab ed è in questa la realtà che stendo le mie gambe per recuperare dal lungo trasferimento e da 15 frenetici giorni di viaggio in cui ho già inanellato tutto il Nilo in feluca da Aswan a Luxor (Abu Simbel compresa) e le prime perle di Dakla e Farafra del West Desert.

Più facile da dirsi che da farsi mentre mi giro e rigiro nervosetto sulla sdraio. So che devo stare fermo, recuperare energie fisiche e mentali, eppure non c’è nulla che odio di più che oziare nello stesso posto quando sono lontanissimo da casa! La testa è tabula rasa: nessuna idea di lavoro, e nessuna voglia di scrivere qualcosa del viaggio e, ovviamente, nessuna dolce ragazza o qualche estemporanea e curiosa amicizia di viaggio nei paraggi…

Troppo stanco per apprezzare la colazione in riva al mare, troppo esausto per lasciare che lo sguardo si perda fino alle alture rossicce del Sinai, troppo stralunato per osservare incuriosito – e magari annotare – il via vai dei vacanzieri (in maggioranza russa) che si alternano nei paraggi, mi giro e rigiro fino a sera. Una cena circondato da lumi di candela, sovrastato da miliardi di stelle, in un romantico ristorantino sul mare, poi il sonno porta finalmente un po’ di pace nel mio animo.

Non mancano le offerte di escursioni per trascorrere le giornate a Dahab. Evito – come sempre – le turistiche gite in cammello o quad per lasciarmi accompagnare per tutta la giornata attraverso quelle parti di Sinai che prendono il nome di Red Desert e di White Canyon. Quest’ultimo mi è piaciuto molto con scorci dolci e anacronistici che sembrano sbucare direttamente da un altro secolo. Di fatto, la peculiarità del White Canyon è quella di essere stato creato da (rare) acque e forti venti, ma proprio le cause che lo modellano in continuazione sono le stesse che ne rendono la vita (relativamente) assai breve. Apprezzabile anche il fatto che gran parte dell’escursione la si può fare solo camminando in vere e proprie scenografie da film: spettacolari!

Il deserto egiziano continua ad essere fonte di sorprese….

Affascinante e sorprendente la scarsa escursione a piedi in solitaria a nord di Dahab, fino a raggiungere il “Blue Hole”. Basta scarpinare un quarto d’ora per entrare in mondo assai diverso. Lo spot di snorkelling noto come “Ell Garden” non è granché, ma il suo contesto, un vuoto selvatico pieno di pace, e zero presenza umana, è speciale. Dahab è appena dietro (poco prima avevo superato un insolito ristorante italiano) eppure qui il color mattone del deserto sembra carico di energie insospettate e fa sfavillare il blu marino. Una lunga sosta in plastica contemplazione dell’orizzonte è d’obbligo…

Ho dovuto scarpinare abbastanza, nelle mie inseparabili infradito, per raggiungere la destinazione finale. Bello vedere i paesaggi cambiare lentamente, annusare l’aria, ascoltare i rumori naturali, oltre a toccare con mano cosa gli uomini stanno facendo a questa costa. Molti gli edifici iniziati e lasciati lì a giacere come scheletri al fianco dei migliori alberghi di Dahab, tutti lontani dal centro, alcuni evidentemente pieni, altri desolatamente vuoti. La “Blue Hole” non è esperienza né bella né brutta: dà una bella scarica di adrenalina (chi non sa cosa significa il “blu”, tra i maggiori timori di ogni sub, qui trova una risposta pronta a due passi dalla costa), ma quanto a flora e fauna è evidente che il sito è ormai irreparabilmente rovinato dai numerosi turisti che vi giungono ogni giorno in torpedone.

Di ritorno, ho fatto snorkeling nel sito denominato “Il Canyon”, assai più ricco e colorato del precedente. E come sempre succede, l’accedere a piedi ad un mondo alieno al mio mi ha fatto toccare con mano una realtà che mi sarebbe altrimenti sfuggita.

Nello specifico, ho assistito senza rallentare troppo il mio passo alla scena straziante di un ragazzino di 11 o 12 anni che piangeva disperato abbracciato al collo del cammello che stava con ogni evidenza morendo. In un accesso d’ira, egli – il padrone o forse solo colui che doveva badare all’animale – si è alzato ha colpito il povero animale con tre o quattro bastonate violente, senza ottenerne alcuna reazione, per poi rimettersi a piangere più forte di prima…

Realizzo che quella non era la semplice perdita di un animale, ma del capitale, del lavoro, delle prospettive di vita, tutto in un solo istante, mentre con la mente vado ai numerosi altri scheletri e frammenti d’ossa piccoli e grandi visti quel giorno stesso in riva al mare, come nei deserti di Farafra e Bahria che avevo calpestato, senza mai farci troppo caso. E invece avrei dovuto, perché la parola deserto è sinonimo di morte molto di più di quanto viene da pensare quando si sta stesi al sole, o si fanno delle escursioni guidate.

Un’altra bella cosa fatta a Dahab è stata l’escursione a Santa Caterina, l’importante monastero sorto ai piedi del Monte Sinai, accanto al roveto in cui Dio si manifestò a Mosè dettandogli i Dieci Comandamenti. Bella escursione, e bel contesto che mi ha salvato dalla delusione dell’ascesa notturna al Monte Sinai, cosa che sognavo di fare da molto tempo. Purtroppo, aspettare l’alba in luoghi così carichi di Dio è diventato nel tempo una icona di grande successo: in nessun altro luogo del mondo, salvo un mezzo su cui sono salito a Cuba, ho mai conosciuto una tale concentrazione di persone!

Solo l’alba, come sempre spettacolare, sul deserto ha riportato un po’ di fascino e rapimento, anche questi purtroppo gravemente frantumati da una congrega di giapponesi che cantava a squarciagola il proprio inno nazionale da ormai due ore di fila.

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