Buoni e cattivi insegnanti

La favolosa vita di Oscar Wao ha un inizio scoppiettante perché, sarà per caso o sarà voluto, i cinque personaggi che s’incroceranno per tutto il romanzo, vengono introdotti in maniera tale che chiunque trova il modo di identificarsi con uno di loro.C’è il ragazzo buono-sfigato che si rifugia e vive in un mondo tutto suo; c’è la di lui sorella che riesce benissimo in tutto quel che fa; c’è la madre che ne ha passate di tutti i colori e ancora continua a prendere di petto la vita; c’è la nonna che è un po’ l’angelo custode di tutti, il buono che si oppone al Tofu (che è una specie di maledizione o magia nera propria della Repubblica Dominicana), gettato sul bisnonno da niente popò di meno che Trujllo, ex dittatore, molto prima che inizi la storia narrata.

Il racconto perde un po’ ritmo e interesse nelle pagine centrali per riscattarsi in parte alla fine, di pari passo delle vicende del protagonista, del quale io ho condiviso molto dell’infanzia, adolescenza e prima maturità. Tutto sommato, un libro che vale la pena leggere, anche perché informa sulle vicende storiche e parallele di Usa-Cuba-Santo Domingo dal ’45 fino al ’70 circa, ma che non si avvicina nemmeno di poco al superbo “La casa degli spiriti” tanto per dire il primo romanzo di questo genere che mi viene in mente.

Ho subito iniziato a leggere Pennac. Da tanto volevo conoscere questo autore, e quindi il suggerimento di Hornby ha qui trovato la porta spalancata. Lo volevo leggere perché, mi parve di capire in una intervista rilasciata su un settimanale per lo stesso volume “Diario di scuola” che hom per le mani adesso, e le prime pagine lette – piene di quotidiana e autoironica realtà – lo confermano in pieno, Pennac è uno di coloro che pensa e crede fermamente che siano i buoni insegnanti prima ancora che i buoni insegnamenti a costruire le buone persone, che abbiano o meno la “stoffa” o particolari talenti.

E i buoni insegnanti sono indispensabili come l’aria da respirare per costruire una buona scuola.

Contrariamente a quel che comunemente si pensa, a mio parere la scuola non deve affatto insegnare delle materie o un mestiere. Piuttosto, deve insegnare metodi e meccanismi del ragionare, a sintetizzare e trovare quel che serve nel momento in cui serve, e non fa proprio nessunissima differenza che si tratti di una ricetta di cucina, di un itinerario turistico o dell’invenzione che rende più comoda la vita… Certo, i percorsi individuali possono essere più o meno agili o tortuosi, ficcanti oppure dispersivi, ma mai si dovrebbe perdere di vista quello che è il vero scopo di ogni scuola, ovvero di ogni insegnante.

Ogni cattivo insegnante fa danni che difficilmente trovano riparo, molti più di una società assente e inconcludente coi ragazzi, a partire dalla stessa famiglia.

Senza buoni insegnanti non vi è nessuna speranza di un futuro migliore.

Chi mi segue da tempo, sa che ho spesso espresso la mia avversione verso chi non è bravo, o è addirittura INCAPACE, di educare, eppure sta lì perché “bisogna pur lavorare”. La esprimo ogni volta che posso perché ho avuto davvero pochi buoni insegnanti in 13 anni di carriera scolastica: due, forse tre.

Fossero stato di più, e ne avrei avuto tutto il diritto, avrei forse trovato prima la mia strada, avrei forse risolto più facilmente i miei problemi.

Sono stato fortunato a trovare nei libri e nelle esperienze di vita tanti buoni insegnati, ma ancora trovo assurdo l’essere stato abbandonato a me stesso, andazzo che è è andato costantemente degradando… Forse, dico forse, l’ultima riforma dell’istruzione – se non proprio ottima – ha cominciato a dare coraggio ai professori…

Scritto 12/04/2010

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