Viaggiare…

Viaggiare Messico: i colori del Chiapas

Il Chiapas, regione montuosa che concentra un terzo degli indios messicani, e la popolazione maya più genuina, è ben presente nell’immaginario di ogni viaggiatore per le vicende degli maya più tradizionalisti e del loro leader mascherato, il sub comandante Marcos.

Tuxtla, una delle due porte d’ingresso al Chiapas (l’altra è Palenque) è una città molto grande e in continua espansione. Complicato destreggiarsi nel traffico spaventoso di taxi e collectivos, distratti come si è dagli indios, caratterizzati da vestiti e colori che ne denotano l’appartenenza a etnie diverse. Anche i comportamenti più quotidiani e banali, più squisiti e gentili che altrove, sottolineano che il cambiamento non è affatto sottile…

Il canyon…

Tuxtla è la patria della marimba, lo xilofono messicano che dà anche il nome al tipo di musica tradizionale di tutta l’area maya, ma la vera attrazione della città è il Canyon del Sumidero, una spettacolare opera della natura creata dal rio Grijalva. La si può ammirare dall’alto, col colorato bus che pare uscire da un cartone animato (due partenze al giorno, dallo zòcalo) oppure dal basso con una delle frequenti lance il cui imbarco si trova a Chiapa de Corzo (17 km sulla strada per San Cristobal).

Dopo Chiapa de Corzo si sale subito in quota. Lo stradone largo e veloce non attenua l’impatto visivo degli alti strapiombi che, non protetti da nessuna barriera, corrono ininterrottamente sul lato

esterno della carreggiata. Qua e là i tessuti colorati indossati dagli indigeni punteggiano l’onnipresente verde dei coni montuosi, oppure sfolgorano sullo sfondo di piccole milpa (appezzamento agricolo di 50×50 metri circa) con la relativa abitazione in un angolo, coltivate a mais e piante simbiotiche.

I colori dell’uomo…

A oltre duemila metri di altezza San Cristobal, la più antica città spagnola dello stato del Chiapas dedicata poi a Bartolomè de Las Casas, difensore degli indios, conserva intatto un elegante fascino coloniale di strette vie acciottolate su cui si affacciano edifici colorati, stupende chiese e porticati, tutti impreziositi da colonnine, lampioni, cancelli, grate e catene di ferro battuto a mano. I numerosi maya tzotzil, che scendono dai vicini paesi per vendere tessuti, manufatti di cuoio, ambra (qui chiamata Pietra del Sole, considerata sacra e piena di proprietà curative dagli indigeni), frutta e verdure aggiungono colori su colori.

Il mattino presto è freddo, un bel cambiamento rispetto alla pianura. È piacevole camminare per la città quasi vuota, e poi tra i banchi del grande mercato, uno dei più belli del Messico, tra venditori mattinieri che paiono anestetizzati dal freddo, scolaresche in divisa che si affrettano chiassose verso le scuole e lavoratori in coda per i collectivos, tra cui coloro che fanno footing – europei e americani stabilitisi qui, tutti proprietari dei migliori negozi, ristoranti e attività – sembrano venire da un altro pianeta.

Quando la città si anima, qua e là non è difficile imbattersi in un comizio. La nota politica, lo zapatismo, è una costante di tutta la permanenza in Chiapas. Il movimento indipendentista, diventato dal ’94 di resistenza non-violenta, è causa di continue violenza dello Stato a danno dei maya, già di gran lunga gli abitanti più poveri del Messico. Azioni come la vendita di un cellulare usato per strada vengono sanzionate in maniera tale da coinvolgere l’intera comunità, indebitandola, per rallentare il processo verso l’inevitabile indipendenza e il diritto di voto. Una delle massime del sub comandante Marcos, davvero emblematica, è continuamente ripetuta nei comizi e sicuramente ben radicata in ogni indio: “Abbiamo atteso secoli, possiamo aspettare qualche altro decennio”.

A San Juan Chamula, cittadina tzotzil a 12 km da San Cristobal, è ben visibile la pazienza maya che tutto assorbe e adatta a sé, dai conquistadores alle moderne multinazionali. La statua della madonna, che non è una madonna ma una famosissima sciamana del passato, è in fondo alla chiesa che porta il suo nome. Ai lati, lungo le pareti, le effigi barocche dei santi spagnoli rappresentano altrettanti sciamani, oppure divinità maya di estrazione minore. Gruppi gli uomini con grandi poncho di lana grezza di pecora nera o bianca stretti in vita da un grande cinturone di cuoio, e donne in gonne dello stesso tessuto sotto huipiles, bluse di cotone dagli sgargianti colori tribali, colloquiano oppure cantilenano ad alta voce con la statua, accendendo via via nuovi ceri su una porzione del pavimento appena ripulita dallo spesso strato di aghi di pino appena raccolti. I fedeli consumano essi stessi le offerte (wisky, Pepsi Cola, Lemonsoda…) al fine di liberare continui rutti che servono estirpano il male. Nell’insieme sono centinaia le candele – di cera d’api o di aromatico coppale – che bruciano creando una suggestiva scenografia di luci tremolanti e fumi che salgono verso i grossi travi di legno grezzo del soffitto, una scena che nessuna foto – assolutamente vietate! – potrà mai immortalare.

I colori della Natura…

La strada per arrivare a Comitàn è spettacolare. Osservando foreste di pini, querce e ceiba giganti pare d’essere nell’alto Tirolo. A est si trovano tutti i parchi naturali del Chiapas, facilmente accessibili grazie a una strada, asfaltata solo da pochi anni e di cui non si trova ancora quasi notizia nelle guide. Collectivos assai nuovi partono da Comitàn per arrivare a Palenque circa 6 ore dopo, al ritmo di almeno uno ogni mezz’ora, una comoda opportunità per scoprire i colori più autentici della terra maya, quelli di foreste, fiumi e laghi e rovine.

Tzizcao, al centro del parco nazionale delle Lagune di Montebello, è un paesino affacciato su un lago intensamente azzurro. L’area è pluviale quindi più acquazzoni al giorno sono assicurati, ma basta un po’ di sole affinché le lagune, sedici in tutto, assumano le colorazioni più intense e diverse – dal viola all’acquamarina, passando per il turchese – a seconda dei minerali e alghe presenti, toni che risaltano ancora di più nel mezzo del verde pluviale.

I laghi si possono visitare in bici, ma vi sono anche alcune belle camminate, come quella che porta alla grotta di San Raffaele – sede mattutina di riti sciamanici per la fertilità – partendo dal lago Bosque Azul. La stessa Tzizcao è un tuffo nel passato di ogni paese. Solo la strada ha portato, poche, case in muratura, e l’elettricità. Chissà come sarà tra 30 anni, ma intanto è una vera fortuna potere assaporare di persona per qualche giorno luoghi così, che paiono spuntare da un remoto passato.

I colori del passato…

Da Frontera Corozal (circa tre ore da Tzizcao) si può effettuare forse la più bella delle visite a siti archeologici maya del Messico. Bella perché a Yaxchilàn si arriva solo in lancia, scendendo lungo l’Usumacinta, e bella perché è lo stesso fiume ad ti entrarti nel cuore con la sua calma bellezza. Yaxchilàn (Pietra Verde in lingua maya) è un gioiello in piena giungla che il poco o nulla affollamento non fa che rifulgere. Il primo palazzo che s’incontra è stranamente integro, da visitare con la propria torcia visto che l’illuminazione è assente. Muovendosi con cautela, spaventando pipistrelli grandi e piccini, mentre si passa dalla cucina alla camera da letto e da questa alla cantina, si riscoprono i sapori, i timori e le gioie di chi per primo esplorava luoghi sconosciuti. Numerose iscrizioni sulle Pietre Albero di marmo bianco o rosa, o serpentino verde, caratterizzano quasi ogni angolo di questa antica città maya, raccontandone dettagliatamente la storia dal V al VIII secolo, quando rivaleggiava con Palenque.

La magia e la quiete del luogo fanno venire voglia di fermarsi a lungo, meglio tenerlo in considerazione quando si acquista una escursione toccata e fuga da Palenque, magari abbinata al vicino sito archeologico di Bonampak, celebre per gli affreschi ancora ricchi di colore, oppure alla Selva lacandona, che gli stessi maya aiutano a visitare e vivere con la loro guida.

Per saperne di più: lo zapatismo
Nonostante la fine della guerriglia, e le tante promesse via via strappate, nel 2008 non vi era ancora stato alcun reale progresso per le popolazioni maya che da sempre vogliono la secessione dal Messico. Nessuno si accontenta di uno stato federale comandato da nativi agli ordini delle multinazionali e dello stato centrale, perseveranza che nasce dalla convinzione che la cultura maya non può inserirsi in una logica di Stato moderno. Ad esempio un maya non si sognerebbe mai di rivolgersi ad un tribunale per dirimere una contesa, bensì al proprio consiglio degli anziani. Ma forse non è proprio questo ad ostacolare l’indipendenza, di fatto impedita dalle enormi ricchezze naturali della regione (bacini idrici, legnami pregiati, caffè, mais, allevamenti, archeologia, turismo, uranio, gas naturali e petrolio, per non citare la biodiversità di foreste in gran parte ancora vergini, una autentica manna regalata dal governo ai grandi laboratori farmaceutici nordamericani).

Per saperne di più: il Dio Mais
È degno di nota il fatto che in Chiapas più che altrove esiste una lotta epocale e accanita contro il mais Ogm che gli stranieri vorrebbero imporre. I maya considerano il proprio mais una delle loro maggiori divinità (secondo la ‘genesi’ maya scritta nel Popol Vuh, i primi uomini furono creati col mais) e ogni contadino usa semi che sono il frutto di una selezione ininterrotta iniziata molti secoli addietro, e che ogni anno viene rinnovata e migliorata attraverso la scrematura dei campioni migliori e più resistenti (quelli delle piante che spuntano prima, o fanno pannocchie più grosse), il tutto attraverso rituali sacri di grande partecipazione popolare. Il mais locale, si vede benissimo ad occhio, è diversissimo da quello che conosciamo noi. E anche il suo sapore è differente, molto più ricco.

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